Lo sfruttamento di chi lavora la terra

Chi lavora la terra è sfruttato: è un dato che non si vede sugli scaffali dove i prodotti vengono presentati nel loro vestito migliore, pronti per essere acquistati. Di ognuno di questi prodotti solo il 5% va ai lavoratori, il 50% va al supermercato. E’ l’Oxfam a denunciare lo sfruttamento in uno studio che analizza le politiche di alcune tra le maggiori catene di supermercati in Europa e in America.

Sfruttamento

I lavoratori sfruttati dei campi non sono soltanto extracomunitari o stranieri, molti di loro sono italiani. Ne è un esempio Paola Clemente, la bracciante agricola italiana di 49 anni morta per fatica alcuni anni fa. Tutti loro lavorano ininterrottamente 7 giorni su 7, domenica compresa, dalle 6 del mattino alle 6 di sera, per 25 euro al giorno. E’ permesso loro fermarsi solo dieci minuti al giorno per il pranzo. E se per caso chiedi di poter saltare un giorno, la minaccia è di non chiamarti più a lavorare. Ovviamente tutto in nero. I guadagni sono molto più bassi rispetto ai minimi sindacali. Chi cerca una strada alternativa al capolarato, rivolgendosi ad esempio alle agenzie interinali, si imbatte nell’ostracismo: i proprietari terrieri si possono permettere di scegliere tra chi si accontenta e chi invece vorrebbe lavorare secondo la legge.

La situazione in Italia è molto complessa e grave. Secondo lo studio pubblicato da Oxfam insieme con la onlus Terra! sono 430.000 i lavoratori irregolari in agricoltura. Tutti questi vengono pagati tra i 15 e i 20 euro al giorno, evidentemente al di sotto del minimo legale di 47 euro. E’ fondamentale oggi lavorare a misure di trasparenza delle filiere per prevenire lo sfruttamento, come ad esempiol’etichetta narrante sui prodotti. Se non si interviene sulle filiere, si favorisce l’ingiustizia dei guadagni massicci di chi vende piuttosto che di chi produce. Un esempio? Nel 2016 otto catene di supermercati Usa quotati in borsa hanno incassato 1.000 miliardi di dollari, con un profitto di 22 miliardi. Di questi, 15 miliardi sono andati nelle tasche degli azionisti. Soltanto il 10% basterebbe a garantire un salario minimo a circa 600 lavoratori.