Renzi è stato sconfitto dal nuovo disagio sociale
La sconfitta è stata netta: 60 a 40. Ma ora che tutto è passato, insieme alle critiche dalle analisi frettolose, la domanda da porsi è se è stata una ribellione a Renzi, un voto contro di lui, contro la sua politica, contro la sua arroganza o come qualcuno ha detto contro la sua antipatia.
La mia impressione è che non sia così, ma sia stata una risposta al disagio italiano e del disagio italiano. La gente, in massa, con una delle più alte affluenze di tutti i tempi per un referendum confermativo, ha detto No.
Ma ha detto no al quesito referendario? No. Spesso non lo conosceva o se lo conosceva non lo aveva capito bene. Ha detto no a un futuro magro, a speranze ormai perse, a ricchezze che non verranno, a figli che non supereranno i padri nella scala sociale.
Ha votato più no il sud dove la povertà è maggiore, hanno votato più no i giovani dove la speranza è quasi morta, hanno votato no con rabbia quelli che la globalizzazione ha reso più poveri. Basta vedere la mappa della povertà dell’Istat uscita dopo il referendum e sovrapporla al voto per vederne le somiglianze.
In una trasmissione televisiva, nelle carrellate sui votanti, ho visto un’intervista – per me significativa – a una signora della periferia romana. Alla domanda perché ha votato no, ha riposto: “per il cambiamento”. Paradossale. Il referendum era per cambiare un sistema istituzionale superato e vetusto. Ma la riposta era anche vera perché la gente ha votato no alla deriva di difficoltà dell’Italia.
Per cambiare. O almeno per dire dovete cambiare.
Ho chiesto a chi ha votato no – come avranno fatto tutti: ma ce l’avete con Renzi? E molti mi hanno detto, no. Se si presenta alle prossime elezioni lo voteremo.
Oggi il no era un’altra cosa. Un avviso. Un avviso ai naviganti: attenti, c’è un problema. Il problema è superabile? Migliorabile, non superabile. Perché è accaduta una cosa che a me o ai loro padri non era accaduta.