Spreco alimentare: dalla produzione alla tavola
Raccogliendo la sfida lanciata da Expo2015, l’Italia è divenuta uno dei Paesi europei più virtuosi nelle politiche di inclusione sociale e prevenzione allo spreco alimentare grazie all’entrata in vigore della Legge 166/16. Siamo i primi ad avere una normativa organica in materia di recupero delle eccedenze alimentari: la vera sfida è il recupero dei cibi cotti, di prodotti freschi, del pane; una sfida culturale ed educativa. Se da una parte la normativa agevola il processo, dall’altra richiede però una collaborazione tra imprese, associazioni di volontariato ed enti territoriali preposti. Ciò nonostante la situazione attuale non è ancora sotto controllo, tutt’altro. Oggi si parla molto di efficienza energetica ma nel settore alimentare i principi del risparmio non si fanno sentire. Un esempio su tutti la “doggy bag”: 1 italiano su 2 pensa ancora che non sarà supportato dai ristoratori, mentre il 75% pensa ad un design elegante che possa aiutarli nel superare il problema psicologico del portarsi a casa il cibo avanzato.
La situazione in Italia
Lo spreco alimentare in Italia è molto preoccupante. Il consumo non controllato di cibo in un anno, quindi tutto ciò che avanza e viene gettato o fatto scadere, potrebbe soddisfare il fabbisogno di ¾ della popolazione. In maniera analoga ma in scala più ampia, lo spreco alimentare nel mondo potrebbe sfamare l’intera Africa. In questo processo, l’Italia è responsabile del 10% del totale degli sprechi che iniziano già durante le prime fasi della filiera produttiva per continuare nella distribuzione; basti pensare agli accumuli di cibo nei magazzini dei grandi supermercati che restano invenduti perché scaduti o non più vendibili. Agli sprechi industriali vanno aggiunti quelli sulle nostre tavole: la classifica dei peggiori comportamenti in tal senso vede l’Inghilterra al primo posto, seguita dagli USA e il terzo posto è nostro. Secondo i dati di una ricerca scientifica dell’università di Napoli, purtroppo recenti perché solo poco tempo fa il problema di un consumo non corretto dei beni alimentari ha attirato l’attenzione delle politiche sociali e degli addetti ai lavori, nel 2012 lo spreco è arrivato a 1.226 milioni di metri cubi d’acqua impiegati per la produzione di cibo che poi non è stato consumato. Di questi 1.226 poco meno della metà risultano sprecati durante la filiera produttiva.
La situazione a livello mondiale
Ampliando il riferimento dell’analisi, lo spreco ed un comportamento sbagliato in tutta la filiera alimentare a livello mondiale è aumentato del 50% dal 1974 ad oggi. In USA il 40% del cibo prodotto viene gettato; in Gran Bretagna 6,7 milioni di tonnellate di cibo finisce nella spazzatura ancora intatto; in Svezia ogni famiglia butta il 25% del cibo acquistato. Una situazione drammatica, quindi, che vede uno spreco di miliardi di tonnellate di cibo. Secondo i dati forniti dalla FAO su 3,9 miliardi di tonnellate di prodotti alimentari, almeno 1,3 finiscono nella spazzatura, inutilizzati o lasciati scadere o invendibili. Allo stesso modo un’altra ricerca (Smil del 2010) sostiene che solo il 43% dell’equivalente calorico dei prodotti coltivati a livello globale viene realmente consumato dall’uomo. Una situazione drammatica, venuta alla luce e analizzata solo di recente quando la crisi economica globale ha posto delle domande.
Non solo spreco alimentare
Lo spreco alimentare non riguarda soltanto il prodotto in senso stretto ma coinvolge anche tutto il processo produttivo. Abbiamo citato poco sopra lo spreco di risorse idriche, ossia quei 706 milioni di metri cubi di acqua sprecati in maniera indiretta dai consumatori. A tale consumo incontrollato possiamo aggiungere lo spreco di energia impiegata per la produzione e il trasporto dei prodotti: 300 milioni di barili di petrolio utilizzati annualmente per trasportare il cibo. A questi si associano 24,5 milioni di tonnellate di biossido di carbonio. Una situazione particolarmente complessa, che potrebbe alleggerirsi grazie alla nuova Legge contro lo spreco alimentare; è necessario, ad ogni modo, l’impegno di ogni singola realtà coinvolta nel processo di produzione alimentare, compreso il buon senso di ognuno di noi nel gestire i prodotti sulle nostre tavole.